Leopardi #mainagioia… o forse no?

da | Gen 18, 2017 | gossip letterario | 0 commenti

il-giovane-favoloso02Siamo stati sempre abituati a vedere Leopardi come il poeta del pessimismo cosmico e delle “sudate carte”; quel ragazzo mezzo cieco, gobbo e mai ricambiato in amore, la cui vita poteva essere quotidianamente costellata da tanti “mai una gioia”!!!

E se invece qualcuno vi dicesse che non è così e che Giacomo, proprio perché così provato e sofferente, aveva ben chiara in mente quale fosse la VERA felicità e quali fossero le cose importanti nella vita? Nel suo libro L’arte di essere fragili, Alessandro D’Avenia vuole fare proprio questo: buttare giù tutti i luoghi comuni che si raccontano su Leopardi, fino ad arrivare addirittura a dire che “può salvarci la vita”! Eh si perché a lui la vita aveva tolto proprio tutto, e la sua condizione era così palese che nessuna maschera poteva nascondere le sue storture… mentre noi ne indossiamo tante, e non possiamo mai permetterci il lusso di essere fragili, di essere veramente noi stessi. Fragili nel senso latino del termine, “frangibili”, l’arte di potersi spezzare.

 

Leopardi, proprio perché privato di molte cose, dovette cercare la felicità nell’essenziale, cioè nell’unione tra bellezza (la testa) e verità (il cuore): in lui testa e cuore coincidono, mentre in noi spesso sono divisi. Siamo troppo razionali, a volte cinici, abbiamo paura della morte, e lui invece affronta questo tema senza timore proprio perché ha ben chiari tutti i suoi limiti. Lui sa che siamo nati per morire, ma ha dentro sé la certezza che la vita è anche bellezza: c’è una felicità che ci aspetta, dobbiamo scoprire dove è nascosta, perché ognuno di noi ha un proprio seme di felicità dentro, unico e originale…deve solo scoprirlo e farlo fiorire. Da piccolo Leopardi, chiuso in casa a studiare, cercava la felicità nella biblioteca del padre, in tutti quei libri che tanto amava leggere. Purtroppo lì non la troverà, ma la scoprirà da grande nell’osservare un paesaggio… arrivando a scrivere l’Infinito!

“Pur di non affrontare la realtà, ci si nasconde dietro un’ironia cinica che nasconde le cose invece che volerle conoscere. Il bello di Leopardi è invece questo: non nascondersi dietro schemi, ma aprire cuore e testa alla realtà e accettarla in pienezza. La poesia non fa rientrare la realtà in schemi asfissianti ma ci dimostra che ci può essere sempre una realtà dietro la siepe, un infinito da scoprire”. (A. D’Avenia)

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Sentire queste cose su Leopardi fa un po’ strano, eppure studiando la sua vita scopriamo che era un tipo proprio intraprendente: inizia a scrivere nonostante Giordani gli avesse consigliato di aspettare perché troppo giovane, dopo il fallito tentativo di fuga scrive un’insolente lettera al padre  (e a quel tempo il rapporto con i genitori non era proprio semplice come oggi), e nonostante il suo stato di salute va via da casa per coltivare la sua passione. Eppure avrebbe avuto tutte le scusanti per chiudersi per sempre nella sua camera e piangersi addosso! Ma non lo fa, perché ha un fuoco dentro che arde e non riesce a placare.

“Leopardi ebbe presa sulla realtà come pochi altri, perché i suoi erano sensi finissimi, da «predatore di felicità» e a guidarlo era una passione assoluta che custodiva dentro di sé e la alimentò con la sua fragilissima esistenza nei quasi trentanove anni in cui soggiornò sulla Terra. Per questo ebbe un destino scelto e non subìto, pur avendo tutti gli alibi per subirlo o per ritirarsi da qualsiasi passione.”
(A. D’Avenia)

E proprio nello Zibaldone lui ci dice che nella vita non ha bisogno di gloria o stima (“… il piacere che si prova in gustare e apprezzare i propri lavori, e contemplare da se compiacendosene, le bellezze e i pregi di un figliuolo proprio, non con altra soddisfazione, che di aver fatta una cosa bella al mondo; sia essa o non sia conosciuta per tale da altrui”.) ma di amore, perché è l’unica cosa che ci svincola dalla paura di morire, dal nostro non sentirci all’altezza. Scopo delle sue ultime opere è proprio quello di cercare di sanare le ferite dell’uomo: con “La ginestra” ci vuole dire che fino alla fine non c’è alibi per non fiorire, anche nel deserto.

“Le cose fragili sono le più preziose…poter essere se stessi senza dover dimostrare nulla è un bel modo per riparare alle illusioni del nostro tempo, come la bellezza, il successo e la ricchezza ad ogni costo. Tutti siamo fragili e proprio questa fragilità è la strada per la felicità”. (A. D’Avenia)

Vi consigliamo vivamente di leggere il libro di D’Avenia… guarda mai che Leopardi possa davvero salvarci la vita!

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