Luca e la sua esperienza in Abruzzo

da | Nov 25, 2016 | formati alla vita, testimonianze ed interviste | 0 commenti

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Come vi avevamo promesso eccoci con Luca per ascoltare la sua esperienza nel mondo del volontariato. Luca è un ragazzo di 29 anni, laurea triennale alla cattolica, sposato e che di mestiere fa il tecnico della prevenzione. Mettetevi comodi perché è davvero un racconto ricchissimo di emozioni e riflessioni.

Pog: Ciao Luca, vuoi raccontarci che esperienze di volontariato hai fatto?
L: Sono tante, ho iniziato con una casa famiglia per ragazze madri dove mi occupavo di far giocare i bambini, poi in una casa famiglia per malati di mente e infine sono entrato nella confraternita Misericordia di Roma Castel Giubileo: un’associazione di volontariato sanitario e di protezione civile in cui sono stato dieci anni.

Pog: C’è un episodio, un evento, che ti è rimasto di più nel cuore?
Un vigile del fuoco durante un controllo all'Aquila in una foto d'archivio. ANSA / MASSIMILIANO SCHIAZZAL: Se devo scegliere un episodio ovviamente penso all’esperienza che ho fatto durante l’emergenza terremoto all’Aquila. Un’esperienza molto forte… nel vero senso del termine… è stato proprio un treno che mi è passato addosso. All’epoca avevo 22 anni e non sapevo cosa mi aspettava lì, e soprattutto, un evento così, di quelle dimensioni che colpisce una grande città come l’Aquila, era tanto tempo che non succedeva.

Pog: Puoi raccontarci qualcosa di quei giorni?
91998L: Dunque sono partito subito, alle 6.30 del giorno dopo quel fatidico 6 aprile ero già lì. Inizialmente ero addetto alla logistica e le prime due settimane ho montato tende in continuazione… avrò dormito tre ore a notte! Quando sono tornato a casa dopo due settimane ed ero distrutto, sconvolto psicologicamente, i miei mi chiedevano: “Luca ma tutto bene?”. Perché è qualcosa che ti entra dentro: i primi giorni vedevi in giro gente piangere, gente terrorizzata, dei veri e propri zombie e poi immagina la difficoltà di gestire un campo in cui ci sono famiglie abituate alla loro privacy che improvvisamente si trovano tutte insieme: giorno e notte.

È stata un’esperienza sconvolgente.

Per spiegarti bene come funziona un evento sismico come quello lo possiamo dividere in quattro fasi.
Durante la prima fase arrivi e vedi il caos, sembra una guerra. Hai un impatto scioccante perché ti rendi conto che ci sono persone che hanno perso tutto, che non hanno più niente… e loro ovviamente sono i fortunati perché sono vivi. Siamo stati anche al funerale. Eravamo a fare il cordone di sicurezza, tutti volontari mano per mano per dividere la gente e fare il corridoio dove dovevano passare tutte le bare, degli adulti e le bare bianche dei bambini. Mi ricordo è stato allucinante.
Poi c’è la seconda fase che è quella della ricrescita. In cui dici: “che bello in mezzo a queste rocce iniziano a nascere dei fiori… dai ripartiamo!!”. Si scherza, i rapporti umani sono molto più amplificati: un semplice abbraccio può significare tantissimo, un sorriso, una battuta… anche tra gli stessi volontari c’è questa complicità. Perché ovviamente il disagio c’è anche per i volontari: andavi lì rinunciavi alla tua vita, alle tue cose e stavi lì per loro h24, e ti ripeto, non c’era un momento per riposarsi. Però comunque durante i servizi parlavi, condividevi… la seconda fase è stata veramente bella. Però emozioni troppo amplificate.
tendopoli_sedie_letti2La terza fase è stata quella più brutta, perché ad un certo punto il malessere degli sfollati si è iniziato a manifestare con dei veri e proprio screzi: trattavano male le cose che erano lì per loro, come i bagni, oppure a finivano di mangiare e non andavano a buttare il vassoio… iniziavano a fare cose senza senso, proprio come se fossero ospiti e tu eri il loro schiavo. All’inizio mi arrabbiavo, mi dicevo: “guarda questi io sto qui per loro e guarda che ringraziamento”. Però ecco io ho avuto la fortuna di esserci già dalla prima fase, quindi avevo un quadro chiaro del disagio: stiamo parlando effettivamente di persone che avevano perso tutto! Avevano perso le loro abitudini, erano lì dentro quelle tende da parecchio tempo, non potevano nemmeno fare una discussione con la moglie che lo sapeva tutta la tenda. Allora ho iniziato a riflettere che loro davvero non avevano colpa e così provavi a parlare, a coinvolgerli e riuscivi a mandare giù il rospo facendo memoria di tutto quello che avevano passato loro.
La quarta fase è quella di chiusura campo. C’era da chiudere tutte le tende e mandarle a casa. In quel momento mi sono occupato del mantenimento dei beni culturali. Insieme ad un gruppo di ragazze che studiavano beni culturali andavamo nelle chiese distrutte o negli archivi storici a recuperare tutta la roba di valore. È stato molto bello anche se rischioso, perché la terra in tutto ciò continuava a tremare, però abbiamo collaborato con i vigili del fuoco: mentre loro con le ruspe scavano le macerie noi andavamo a cercare pezzi di quadro, statue, libri. Finita anche questa ultima fase è finita l’emergenza.

Pog: Come sei tornato da questa esperienze?
L: Stremato, mi ha davvero provato perché ci ho passato tanto tempo, tanto tempo lontano da casa, dalle mie abitudini. Ma poi anche al livello mentale, fisico, è stato duro. All’inizio, le prime due settimane c’erano un bagno, due rubinetti d’acqua potabile per cinquecento/seicento persone. Tu immagina al livello igienico come stavamo messi, le prime epidemie che dovevano essere contenute per non arrivare a tutta l’Aquila… una situazione delicatissima da gestire che però mi ha formato molto sia umanamente che caratterialmente.

Pog: Quello che hai vissuto ti ha aiutato poi nella quotidianità? Ti ha lasciato delle competenze (soft skills) che sei riuscito a giocarti in altri campi della tua vita?
L: Sicuramente mi sono portato a casa tanto, prima di tutto la voglia di apprezzare tutto quello ho. Poi una serie di insegnamenti pratici, come la capacità di restare lucido nelle emergenze e poi la facoltà del problem solving… lì era un problema continuo e dovevi risolverlo senza rompere le scatole agli altri volontari perché a loro volta stavano lavorando. E poi ho imparato tanto sotto il profilo relazionale, ho imparato ad ascoltare ad esempio. In quei mesi ho ascoltato ore e ore di chiacchierate di persone anziane, di signori e di ragazzi, ma, come ti dicevo, ho anche imparato a capire le persone, a mettermi nei loro panni.image
E poi l’adattabilità, il lavoro di squadra e la flessibilità. Quando vai a fare il volontario in una situazione del genere ti trovi a fare tutto: in due mesi e mezzo ho fatto il carpenterie, montato tende, l’idraulico, l’elettricista, ho fatto le pulizie, il sevizio mensa, il mantenimento dei beni culturali, il capo della logistica del campo dei volontari… davvero di tutto!

Pog: Domanda spontanea: questa esperienza ha influito sulle tue scelte lavorative o di studio?
L: Quando sono partito ero già all’università, stavo preparando la tesi ma sono riuscito lo stesso a laurearmi in tempo. Quindi no, non ha influito sulla mia scelta universitaria perché l’avevo già fatta, però effettivamente ci si incastra perché io mi occupo di prevenzione e sicurezza del lavoro e igiene alimentare. Quindi vado a fare sopralluoghi e ispezioni, in più faccio tantissimi corsi di formazioni ad un pubblico molto eterogeneo… dall’estetista, al dirigente fino allo chef che va in televisione. Ecco sì, sicuramente mi ha aiutato molto anche in questo.

Luca grazie davvero.

Se siete interessati a prestare servizio presso questa associazione o volete informazioni su Misericordia di Roma Castel Giubileo oppure sulla Confraternita Nazionale delle Confraternite d’Italia leggete qui.

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