L’ESPERIENZA DEL POG DAL NOSTRO PUNTO DI VISTA
Quando entriamo in una scuola, in un’aula, ci restiamo in genere per tre giorni.
Cinque ore per tre giorni uguale quindici ore.
Dei ragazzi sconosciuti fino ad un attimo prima, iniziano ad occupare lo spazio delle nostre vite per un tempo, che sebbene possa sembrare poco, ha un peso. E’ un tempo dilatato, sos-peso.
Le loro attività scolastiche si fermano, così come le nostre, che siano di lavoro o di studio. Loro si fermano un istante a fare il punto della loro vita, si fermano a ri-orientarsi, e noi coinvolgiamo tutte le nostre energie e forze su questo ri-orientamento. Per un formatore, o facilitatore, in quei tre giorni tutto ruota intorno ad una classe, diciotto o trenta ragazzi si fanno spazio nelle nostre vite.
Incontriamo volti, storie e nomi che faremo fatica a dimenticare. Come la schietta intelligenza di Riccardo, o qualcuno che ha il sogno di fare il regista, una campionessa di pattinaggio, oppure la timida Ludovica, qualcuno che ha vissuto in Francia per un po’, o Lorenzo che sembrava totalmente disinteressato e invece poi… incontriamo chi a 17 anni ha scritto e diretto cortometraggi, chi viene l’ultimo giorno con la chitarra per farci ascoltare una canzone dedicata ad un compagno di classe, o la ragazza che ha improvvisato un rap sulla ricetta dei carciofi in umido.
Meravigliosi!
Alla fine di ogni progetto lasciamo ai ragazzi un piccolo ricordino. Non ci interessa che si ricordino di noi, di Pino, Cecilia, Matteo o Arianna e compagnia bella, l’idea è che questo piccolo oggetto possa fare memoria alle sensazioni vissute in quei tre giorni, in quelle quindici ore, che possa riportare a quel tempo sospeso, a quelle riflessioni, a quando hanno cercato di rispondere alla domanda delle domande: “Ma io chi sono?”.
Inizialmente questo ricordino era una spilletta, disegnata dalla nostra mitica artista Chiara, poi un porta chiave. Negli ultimi progetti abbiamo lasciato ai ragazzi un braccialetto, di quelli di gomma colorata, ormai ribattezzato “IL POG-BRACCIALE”, che porta una frase incisa su:
“DIVENTA CIO’ CHE SEI”.
Ecco. Questa frase racchiude esattamente lo spirito con cui ognuno di noi entra nelle aule.
Diventa ciò che sei non è solo l’augurio che facciamo ai ragazzi ma è l’atteggiamento con cui noi ci rivolgiamo a loro. Perché siamo certi che in ognuno di loro è racchiusa una meravigliosa unicità e quello che li aspetta è un’affascinante viaggio alla scoperta di loro stessi.
Arianna scrive…
Il liceo è un pieno di ore, prove e avventure vissute insieme ad altri coetanei. Nel tentativo di sopravvivere a tutto questo, però, si dimentica chi c’è dietro a quei volti che riempiono l’aula. Questi tre giorni sono stati il tempo in cui tornare a guardarsi negli occhi e scoprire che l’altro ha una storia incredibile da raccontare e che come noi vive anche lui le proprie fatiche. Quando si ascoltano i compagni parlare dei propri limiti, ci si stupisce nel vedere che la loro bellezza parte proprio da lì. Così, tornando a guardare se stessi, si inizia ad accettarsi per quello che si è e si mettono i primi passi nella strada verso l’espressione piena di ciò che siamo veramente. Questi ragazzi hanno avuto la possibilità di guardare la propria vita come si guarda il panorama quando si sale in montagna e hanno compreso che nella vita chi vuoi essere conta più del percorso che scegli per diventarlo. Tutto questo è stato possibile perché hanno aperto totalmente cuore e mente all’ascolto di ciò che avevamo da dire loro e di ciò che gli altri avevano da raccontare. E quello che hanno ricevuto li ha arricchiti, come ha arricchito noi del Pog. Hanno riempito il loro zaino del necessario per ripartire. Ad ascoltarli oggi si capiva che in loro c’è tutta la potenzialità necessaria per arrivare in vetta e dirsi che ne valeva la pena.