Era il 1946 e l’Italia aveva solo una strada davanti a sé: ricostruire. La seconda guerra mondiale era passata come una tempesta dolorosa strappando vite, distruggendo città, rubando la pace. Una donna che aveva visto la sua casa cadere in mille pezzi, riuscì a dire: “ E’ vero, ho perso la mia dimora, ora però vedo l’orizzonte”. Una frase rivoluzionaria, profondissima che rende l’idea di quanto sia necessario guardare oltre nella vita, di quanto il cuore dell’uomo sia fatto per sperare oltre ogni speranza. E’ ciò che accaduto nei momenti in cui la storia ha piegato le ginocchia dell’umanità, spesso per lunghi anni, ma sempre vedendo l’uomo rialzarsi e tornare a sognare. Avere un sogno non è roba da bambini, da adolescenti in erba, avere un sogno significa essere uomini e donne capaci di credere nella vita.
E’ quello che la famiglia Ferrero ha saputo testimoniare con semplicità e umiltà passando dal piccolo laboratorio dolciario di via Rattazzi all’impero che oggi conta 21.900 dipendenti con 74 società consolidate e 38 compagnie operative per la vendita, 20 stabilimenti per la produzione di cui 3 ulteriori operanti nell’ambito delle Imprese Sociali. Il primo passo è la “Pasta Giandujot” avvolta in carta stagnola, si taglia a fette e si mette sul pane, ottima ed economica che permette alla piccola pasticceria di non essere più quel luogo elitario per pochi, ma una realtà vicina a tutti incontrando il favore del popolo. Il laboratorio si trasferisce sul nuovo terreno acquistato ad Alba dove la famiglia Ferrero continua a impastare sogni. A collaborare saranno i fratelli Giovanni e Pietro seguito dalla moglie e dal figlio Michele.
Sarà proprio quest’ultimo con la sua creatività, la fantasia e lo spirito di iniziativa a credere che quel sogno del padre di poter dare lavoro ai superstiti di guerra potesse diventare qualcosa di molto più grande. E’ così che arrivano sul mercato il “Sultanino”, una stecca di cioccolato di dimensioni ridotte e il “Creamablok”, cioccolato ripieno di nocciole. Lo zio Giovanni non è convinto di questa idea e si oppone a lanciare la novità. Michele però ne produce alcuni pezzi di nascosto per farli assaggiare direttamente ai negozianti, in pochi giorni arrivano centinaia di telefonate che confermano il successo, così come accade anche per la Supercrema o Cremalba, l’antesignana della Nutella venduta in bicchieri di vetro di diverse misure, a 500 lire (25 centesimi di euro).
Dal piccolo laboratorio di via Rattazzi la Ferrero sbarca all’estero e nel 1957 la conduzione dell’azienda è nelle mani di Michele: “Ecco cosa significa fare diverso da tutti gli altri. Tutti facevano il cioccolato solido e io l’ho fatto cremoso ed è nata la Nutella; tutti facevano le scatole di cioccolatini e noi cominciammo a venderli uno per uno, ma incartati da festa; tutti pensavano che noi italiani non potessimo pensare di andare in Germania a vendere cioccolato e oggi quello è il nostro primo mercato; tutti facevano l’uovo per Pasqua e io ho pensato che si potesse fare l’ovetto piccolo ma tutti i giorni; tutti volevano il cioccolato scuro e io ho detto che c’era più latte e meno cacao; tutti pensavano che il tè potesse essere solo quello con la bustina e caldo e io l’ho fatto freddo e senza bustina”.
Il successo di questo impero non è solo il risultato di un ottimo marketing, ma passa anche per la fatica di costruire un ambiente sano e rassicurante per chi vi lavora a ricordare che prima di tutto bisogna puntare alla relazione nella vita, anche in ambito lavorativo. La genialità di quest’uomo dalle umili origini ha un nome: il coraggio di osare, di sfidare il cambiamento e di farlo puntando alla bellezza.
Foto dal sito: http://www.today.it/donna/origine-prodotti-ferrero.html